INTERVISTA A FEDERICO FIUMANI

tratta dal mensile VELVET settembre 1990 e realizzata da Davide Sapienza


Da

"DIAFRAMMA"



Diaframma oggi, nell'estate del 1990, significa un terzetto che protende la sua zelante azione musicale da Firenze. E per quanto poco edificanti siano stati gli ultimi exploit di quella splendida e gravida città custode della nostra amata lingua italiana, tra i Baggio Chorus e le intolleranze razziali (peraltro sviluppatissime anche nel resto del "paese"), musicalmente Firenze e il suo giglio hanno sempre dato all'Italia di che vantarsi.
Prendiamo Federico Fiumani. Trentenne, da due lustri al centro di una piccola rivoluzione del sound italiano e del far musica della nostra giovane tradizione rock, Fiumani arriva con il recente album "In perfetta solitudine" a una sintesi per certi aspetti strabiliante di songwriter, autore di testi e tutto ciò che lui sprizza con il suo intenso portamento, il poeta (in senso strettamente "significativo").
Una volta i Diaframma erano caratterizzati dalla presenza di un altro estroso personaggio, il cantante Miro Sassolini, tanto che dopo la sua dipartita, con "Gennaio" (l'EP dello scorso anno) e questo ultimo disco Fiumani si è ritagliato un modo tutto nuovo di vivere, interpretare e orchestrare la musica ormai totalmente sotto il suo vigile e appassionato controllo. Le tredici canzoni presenti nel recente LP sono a mio avviso un grande passo per la musica italiana, non necessariamente rock. Se parlate con l'autore delle sue canzoni, incontrerete idee chiare e intenti piuttosto ambiziosi, che non trascurano mai l'umiltà di fondo con la quale soltanto è possibile rendere comprensibile a un pubblico i propri demoni e i propri pensieri innocenti, folli, stralunati, arrabbiati, ipnotici, sanguigni, languidi o semplicemente passeggeri in una mente e un cuore sempre in viaggio verso una meta molto precisa.
Essendo ormai settembre, siamo anche a pochi mesi da un disco che vedrà la luce all'inizio dell'anno nuovo (probabilmente) con vecchi cavalli di battaglia come "Siberia" e nuovi brani non utilizzati per "In perfetta solitudine". I Diaframma che potete ammirare dunque sui pochi palchi rimasti a disposizione dei nostri bravi scudieri con chitarre, batterie e bassi vari, sono tre: Federico Fiumani, che impugna le sue chitarre dando loro ordine irreversibile di portare alla meta la sua voce e le sue parole bagnate di emozioni; Fabio Provazza, alla batteria e Massimo Bandinelli al basso, sezione ritmica precisa, secca, efficace, ridotta ai minimi termini e al servizio dell'equipe musical-poetica. In questo periodo Bandinelli è lontano dal gruppo per la solita idiozia nazionale, EI.
"In perfetta solitudine" è anche il primo vinile (CD e cassetta!!) che i Diaframma hanno registrato per la più antica casa discografica italiana, la Ricordi, per la quale questa è l'unica vera possibile redenzione per ciò che riguarda il catalogo nazionale (qualitativamente parlando). Ma ora sentiamo perché Fiumani è contento della tanto aborrita "major", perché è riuscito a ottenre ciò che voleva e come mai preferisce che alcune cose non finiscano sui fogli patinati di una rivista (perché rispetta la diversità d'opinioni, a differenza di altri che lo hanno facilmente tacciato del contrario).

Quali sono le differenze fondamentali tra il gruppo di allora e questo dell'era Fiumani?
Soprattutto una cosa: che canto io... e poi gestisco tutto da solo, mentre prima eravamo in quattro, cioè quattro opinioni diverse che erano... difficili da mettere d'accordo. Trovo più adatta la situazione attuale alle mie caratteristiche personali. Nell'85 ci fu la scissione della formazione originaria, poiché il momento di stanca spinse qualcuno alla ricerca di una vita più tranquilla. insomma, il lavoro fisso, che però non potevi avere se suonavi perché c'erano i concerti, i quali a loro volta non garantivano una sussistenza a tutti. Quando Gianni e Leandro se ne andarono eravamo alla vigilia di alcune date in Spagna, dunque iniziò un periodo nel quale accanto a me e a Miro si avvicendarono varie formazioni. L'anno scorso questa situazione ha iniziato a stancarmi. Mi sono detto: faccio le canzoni, perché non dovrei cantarle? Perché non dare corpo alla voce che è in me? Rimasti in tre abbiamo registrato "Gennaio" e "In perfetta solitudine".
Per uno che scrive la musica è difficile rinunciare al proprio cantato? Prendi un esempio poco impegnativo (!): Pete Townshend ha detto che Daltrey era negli Who la voce perfetta delle sue canzoni...
Ma è anche vero che una delle cose più belle che ha scritto, "Rough Boys" l'ha cantata lui meglio di chiunque, e che ha fatto dei lavori da solista. In generale, comunque, dipende da molti fattori, che possono anche essere economici: dopo "My Generation" non era molto facile sciogliere gli Who... Io comunque non sono d'accordo e non lo sono soprattutto da quando non solo scrivo, ma interpreto, cantandole, le mie canzoni. In questo modo riesco a esprimere il cento per cento di quello che ho tirato fuori da uan canzone. Sono molto entusiasta di questo disco e non lo voglio nascondere.
Il lavoro sulla chitarra. Da chitarrista e autore, ora devi servirti dello strumento con il quale scrivi per cantare.
Non è innanzitutto un mero accompagnamento. Essendo in tre, poi, l'armonia finisce per essere portata tutta dalla chitarra e quindi se non gli dai ampio spazio, la musica sotto cede, perché semplicemente l'armonia non c'è. Questo a livello armonico: in questi dieci anni credo di avere sviluppato uno stile personale e già rispetto a "Gennaio" c'è una maggiore attenzione per la rifinitura...
C'è anche una distinzione piuttosto marcata tra linea vocale e linea musicale, che in genere rende invece prevedibile il cantato nella musica rock...
Non sempre è così, comunque. È un po' il mio stile... è in fondo la chitarra che si è dimostrata ideale per me; i pezzi sono venuti insieme, parole e musica, e questa secondo me è la migliore forma che i brani possano assumere, perché significa che l'ispirazione c'è. Spesso le cose vengono senza motivo preciso, prendo in mano la chitarra perché ne ho voglia e poi magari mi dico "bello, questo". Oppure ho anche una frase che mi gira in testa e trovo un accordo e da lì parte tutto il processo. "Diamante grezzo" e "Io amo lei" sono nate insieme, musica e testo contemporaneamente. Una melodia che viene fuori dalla chitarra ti suggerisce spesso una sensazione che è dentro e aspetta soltanto la forma migliore per uscire.
Spesso un musicista è quasi l'opposto, faccia a faccia, di quello che esprime nella maggior parte del suo lavoro. Tu invece sei sempre stato gemello identico a ciò che suoni e, da due anni, canti. ti ha creato problemi questa fedeltà limpida della persona al musicista?
(sorridendo). Sì... devo dire che molti brani sono auto-biografici laddove altri possono essere lavoro di fantasia... c'è molta biografia per esempio in "Verde"... c'è anche qualcosa di Tom Verlaine che è sicuramente uno degli artisti, chitarristi, che ammiro di più. Altre canzoni hanno la loro storia. "In perfetta solitudine" è una delle più vecchie, di un paio di anni fa, ma ho aspettato ad inciderla perché dentro di me probabilmente pensavo che il momento buono era questo. "Vai" è molto recente e ha una vita curiosa: è la prima puntata di una storia in due parti, di cui la seconda è una canzone che abbiamo già registrato ma che uscirà nel prossimo disco e si intitola "Amore prendimi". La prima narra dell'abbandono, la fine di un amore, poi uno torna e l'altro gli dice che nel frattempo ha imparato a vivere da solo, ma non anticipo nulla, potrebbe essere, detta così, interpretata in maniera sbagliata. "Io amo lei" è un brano anche classico, se vuoi, nello stile. I temi sono quelli, dipende da come li prendi. Questo è il mio modo di sentire l'amore.
"Diamante grezzo" ha un'angolatura davvero particolare sull'amore.
Sì, "Diamante grezzo" è una canzone sull'amore, se vuoi. Ma è diversa, è anche un po' ironica. A Firenze si dice "sdarsi" per avere qualcosa, che significa buttarsi giù per potersi considerare niente o poco meno proprio perché hai forte bisogno di una persona: la canzone è un po' l'inginocchiarsi davanti a questa persona...
C'è sempre, non in maniera cinica, dell'ironia nelle tue cose più recenti.
Sì, quell'ironia giusta che c'è bene o male in tutte le cose della vita. Già un'altra volta ti dissi che non sono molto propenso a vedere le cose come l'artista che deve soffrire per conquistare la propria arte e le cose: ho provato sulla mia pelle che meno preoccupazioni materiali hai, meglio fai alle tue canzoni. A mio avviso l'ascoltatore non ha voglia di sentire le paranoie altrui. Secondo me è sempre meglio dare qualcosa che tende alla serenità, più che alla depressione...
Qui tocchi uno dei massimi sistemi per interpretare la musica popolare moderna. Prendi i Joy Division e la presa che hanno avuto su una intera generazione: c'era della dolcezza, a tratti, ma non era certo musica per sorridere.
Sì, ma erano anche altri tempi e comunque se il prezzo da pagare è quello che hanno pagato loro, ne faccio volentieri a meno del successo. La musica deve avere una carica di ottimismo, senza propinare stronzate senza sostanza e poi la musica è molto legata ai periodi della vita di ognuno. Il successo che incontranon solo l'heavy metal, ma negli ultimi anni un genre come il trash-punk è l'espressione di uan grande aggressività che c'è nei ragazzi. Mi piace comunque il paradosso insito nell'heavy metal, quella carica umoristica e comunque il legame quasi religioso con i propri ammiratori, che rende i concerti un evento, una messa sacra. In altri ambiti c'è spesso distacco, nonchalance, mentre a me piacciono i concerti che sono un evento, dove c'è qualcosa, dove nell'aria è palpabile l'elettricità ed è quello che io cerco di ottenere. Io ricerco molto il coinvolgimento dal vivo, se io vado a suonare, in quell'ora dò veramente tutto, mi metto completamente a nudo, ci metto l'anima. È come il pugile che sul ring non può nascondersi, ma deve affrontare l'evento. Questo poi è molto più presente in me perché canto. Prima a volte mi sentivo messo un po' in panchina.

E si sa che, a quelli di Firenze, la panchina non piace per niente: è evidente che Fiumani a qualche concerto dei Diaframma deve esserci andato come spettatore per accorgersi di dove era il suo ruolo in campo.