Ho conosciuto Federico Fiumani all'epoca dell'uscita di "Pioggia", il singolo d'esordio dei Diaframma, e da quel giorno ormai lontano ci siamo incontrati una ventina di volte. È forse per via di tale consolidato rapporto che la nostra chiaccherata, svoltasi in una stanza della redazione del Mucchio circa trenta ore prima della fine degli anni '90, non ha conosciuto momenti di pausa o di imbarazzo, neppure quando le domande sono andate a toccare argomenti scomodi se non addirittura spinosi; lasciando emergere la figura di un musicista e un uomo che può permettersi di camminare a testa alta, senz'altro più che meritevole del ruolo di cult-hero assegnatoli dalle sue vicende artistiche e personali.
Il titolo del nuovo album è "Coraggio da vendere":
presumo che esso nasconda un significato particolare.
- Si chiama così uno dei miei brani preferiti del disco, che
oltretutto è quello che, come idea, sembraqva il più idoneo
a intitolare l'intero lavoro. Inoltre, come ho scritto anche nelle note
di presentazione per la stampa, mi offriva lo spunto per ricoprire un altro
ruolo, per vestirmi da personaggio storico: Muzio Scevola è il classico
eroe senza macchia e senza paura, per il quale la coerenza è fondamentale.
Nel retrocopertina è ritratto con la mano fasciata e disteso
sotto un albero. È morto o dorme?
- Nessuna delle due cose: è sofferente e medita sul suo gesto.
Metafore a parte, credo che questoa scelta abbia anche un risvolto
ludico, come quando in "Anni luce" hai ricalcato fedelmente l'immagine
di The Freewheelin' Bob Dylan.
- Certo, giocare con le citrazioni mi è sempre piaciuto. E poi
una copertina deve catturare l'attenzione... va bene anche se fa sorridere.
Questo tuo lato ironico è piuttosto strano: non mi risulta che chi conosce solo la tua musica ti veda come una persona spiritosa.
- Che devo dirti? Ho sempre avuto un amore particolare per la musica triste e struggente. Commuovere con le canzoni è bellissimo: non c'è nulla di male se divertono, ma evidentemente non è nella mia natura o forse sono più portato per altre emozioni. Comunque non mi sembra che ai nostri concerti la gente si intristisca o si annoi.
Tornando al titolo, credi ci voglia "coraggio da vendere" per continuare
ad essere musicisti alla tua maniera?
- È un'altra chiave di lettura plausibile, soprattutto per chi conosce
nel dettaglio la mia storia: senza dubbio per me non è facile andare
avanti essendo una voce libera, e ottenere certi risultati facendo a modo
mio solo le cose che mi piacciono.
Scusa, ma questo potrebbe suonare come un alibi, ma fare di necessità
virtù: ti autoproduci perché nessuno ti produce.
- Sì, ma per smentire la teoria basta la considerazione che
ho sempre agito così, anche quando avevo un contratto major
o comunque mi appoggiavo a strutture di un certo livello. Ci tengo però
a precisare che la mia è un'autoproduzione atipica: la Self, che
mi distribuisce, mi paga un anticipo sufficiente a coprire le spese del
master, e in pratica con le percentuali "da licenza" sulle vendite dei
cd guadagno più di un normale artista sotto contratto. Infine, dopo
tre o cinque anni, ritorno ad essere proprietario dei master: ci tengo
ad averne il maggior numero possibile, perché costituiscono il patrimonio
artistico e quindi economico su cui poggia la mia carriera.
Sei proprio sicuro che questo sia meglio di un classico vincolo discografico?
- Visto che posso contare su una certa sicurezza di vendite, direi
proprio di sì. Però è ovvio che non sarebbe
male se ci fossero altre opportunità che ora come ora non ci sono,
come poter produrre un video promozionale da 25/30 milioni...
Ma queste chances non si trovano o sei tu che non le cerchi?
- Basilarmente non ci sono: non firmo il primo contratto capestro che
mi viene proposto, non fosse altro perché purtroppo l'ho fatto in
passato. In questo mestiere serve il successo, grande o piccolo: i Current
93 non puntano ai riasultati commerciali dei Rolling Stones, ma è
ovvio che mirano comunque a vendere dischi e ad allargare la loro audience.
Non sei un po' frustrato? In fondo i Diaframma hanno fatto la storia
della nuova musica italiana, però sono altri a raccogliere i frutti
della loro semina.
- La frustrazione c'è, è chiaro. Le case discografiche
ritengono che un nuovo gruppo abbia davanti a sé pèotenzialità
infinite, come un pugile imbattuto, mentre dei Diaframma si conoscono ormai
i limiti artistici e di mercato. Io, però, non mi lamento: ho il
mio pubblico, riempio i locali dove suono, i concerti ottengono successo
e i miei dischi si trovano nei negozi; insomma, vado avanti per la mia
strada. All'epoca di "Pioggia" mi sarebbe parso incredibile poter
vivere dignitosamente della mia musica per vent'anni, per cui posso dire
che è andata bene.
A proposito dei dischi nei negozi: ora come ora, che cosa è
reperibile?
- I tre distribuiti dalla Self - "Scenari immaginari", la ristampa
di "Boxe" e "Coraggio da vendere" - sono disponibili dappertutto,
mentre presso catene come Nannucci è ancora possibile acquistare,
per di più a prezzi molto bassi, lavori dei '90 come "Anni luce",
" Non è tardi" e "Confidenziale". I due album per
la Ricordi sono stati recentementeripubblicati in serie economica, e le
ristampe di "Siberia" e "Tre volte lacrime" - esaurite per
ben due volte - dovrebbero essere di nuovo in circolazione in primavera.
I miei dsischi non sono affatto introvabili come alcuni credono, c'è
solo bisogno di un pizzico di impegno.
Nella tua ventennale carriera, quando hai pensato di essere arrivato
ad un punto cruciale?
- All'epoca di "Siberia" ci furono alcune settimane di grandissimo
interesse, in cui sembrava che sarebbe dovuto accadere chissà che:
un sacco di gente ci cercava, eravamo primi in classifica in tutte le radio
rock... Un altro momento del genere è stato quando mi sono legato
alla Ricordi, ma anche lì è durato poco: mi ricordo quando
Vince Tempera mi disse che un altro eventuale disco assieme sarebbe dovuto
essere "commerciale". Usò proprio il termine commerciale,
e infatti il rapporto si è interrotto.
E adesso, col senno di poi, come ti comporteresti?
- Sinceramente non credo che la mia musica sia mai stata difficile
all'ascolto. "Coraggio da vendere" non è un album ostico,
anche per una persona che non ha mai sentito prima i Diaframma. Forse,
se allora avessi saputo cantare come ora, il problema non si sarebbe posto.
Di sicuro le tue canzoni sono più immediate di quelle di artisti
più giovani che, bene o male, si sono ispirati a te e che hanno
più successo.
- Magari sì, ma questo è legato a questioni di tendenza,
di suono "alla moda". E i Diaframma non sono certamente trendy.
A tuo parere, nell'attuale "rock d'autore", l'impronta dei Diaframma
è molto marcata?
- Sul piano artistico non mi sembra, ma credo che per noi potrebbe
valere un discorso come quello dei Ramones: "forse, senza di loro, la musica
di oggi sarebbe stata diversa". È difficile ipotizzare che direzione avrebbe
preso il rock italiano se i Diaframma non fossero esistiti. Non si può
negare che siamo stati tra i primi a proporre un certo tipo di canzoni,
ma non so se abbiamo influenzato qualcuno.
Fin dall'inizio avete tentato di unire rock alternativo e liriche
in italiano. A vent'anni di distanza, ti rendi conto di di quanto questo
approccio sia stato coraggioso e originale?
- Sì, adesso sì. Nei primi anni '80, però, non
ne ero assolutamente consapevole, la mia sola ambizione era quella di scrivere
testi in italiano. Ero molto incoraggiato dal mio professoredi lettere
del liceo, e ritenevo che questo mio talento - ero l'unico in tutta la
scuola ad avere dieci in italiano - potesse interessare ad altri: come
sai, sull'onda di questo interesse ho anche pubblicato in proprio alcuni
libretti di poesie, cose molto ingenue che adesso non fare ipiù.
È vero, si è trattato di un'esperienza che nel suo piccolo ha segnato
un'epoca, pur con tutti i limiti che emergono esaminandola a posteriori.
Cosa rappresenta per te ogni nuovo disco?
- Sono emozioni sempre diverse, che si stemperano negli anni: alla
fine rimane l'album, che dice comunque qualcosa di me, e non quello che
lo ha generato. Per questo motivo mi è più facile parlare
dell'ultimo lavoro, che a differenza degli altri è nato da un impulso
improvviso e molto forte: stavo vivendo un periodo un po' noioso, non succedeva
granché e questo mi faceva anche girare abbastanza le scatole. Ho
pensato che l'unica cosa sensata fosse incidere, così ho recuperato
alcune vecchie canzoni mai pubblicate - tra cui "Anima sensibile"
e "Le navi del porto" - e qualche abbozzo, e in pochissimo
tempo mi sono trovato in mano tutto il materiale necessario per un nuovo
album.
Cosa provi a riascoltare i vecchi lavori?
- Ritrovo le emozioni da cui sono scaturiti, anche se non con la stessa
intensità del momento in cui le vivevo. All'epoca di "Non è
tardi", ad esempio, ero innamoratissimo, nel pieno della fase di idealizzazione
della persona amata: non so fino a che punto si avverta nei pezzi, ma io
mi sentivo così. Lo stesso è accaduto in "Tre volte lacrime",
mentre "Boxe" rappresentava quasi un esorcismo per la difficile
situazione discorgafica da cui mi ero appena liberato. "In perfetta
solitudine", invece, rifletteva un periodo di grandi aspettative, mi
ricordo che ero molto felice.
Secondo te, quali sono i tre capitoli-chiave della vicenda Diaframma?
- Senza dubbio "Siberia": è stato il primo album e l'inizio
di tante cose, non solo per me. Poi direi "Gennaio", l'ep del 1989,
il primo che mi ha visto impegnato alla voce: la maggior parte dei miei
estimatori mi conosce da "Gennaio" in avanti, e forse è anche
per questo che non ho attuato il progetto di una temporanea reunion con
Miro Sassolini, il cantante dei primi tre dischi. Il terzo potrebbe essere
"Coraggio da vendere", o almeno così spero.
C'è qualche ragione particolare che te lo fa pensare?
- Una copertina del Mucchio è un segnale importante e
concreto, e nel nostro ambiente si vive anche di queste cose; inoltre,
mi sono legato a un'agenzia che per un anno mi ha garantito un discreto
numero di concerti. Sullo spessore artistico del disco, invece, preferisco
glissare: non sarei obiettivo, i miei "figli" mi piacciono tutti.
Qual è, a tuo modo di vedere, l'umore generale dell'album?
- Non è un disco particolarmente malinconico. Anche se forse
più di altri evidenzia un certo rimpianto per la giovinezza. Il
tema più affrontato è quello del tempo, che passa, magari
perché ho quasi quarant'anni e sarebbe drammatico se non mi ponessi
il problema. Nei precedenti er osempre un pazzo innamorato di qualche donna
reale o immaginaria.
Ti senti invecchiato, insomma?
- Non ho più vent'anni, e mi sembrerebbe sciocco far finta che
non sia vero. Però mi sento invecchiato bene, anche se ora per mantenermi
in forma ho bisogno di footing e ginnastica e devo limitare le notti brave.
Ti ritieni sempre un "cantautore punk"?
- Sì, nel senso che mi sforzo di affermare la mia individualità
in contrasto con i comportamenti di massa attualmente imperanti. Che non
copio, cioè, il compito - musicale, in questo caso -degli altri.
Non hai mai pensato di sfruttare la tua solida reputazione di autore
e l'essere un personaggio di culto per ottenere una più ampia notorietà,
magari componendo per qualcuno o avviando collaborazioni con colleghi più
"visibili" di te?
- Credo abbastanza nella casualità, e non mi va più di
tanto di forzare la mano al destino. Non vivo da eremita, ma forse la mia
indole un po' schiva mi trattiene dall'espormi in questo senso. Nel mio
campo la sfacciataggine può aiutare parecchio, ma io non ne sono
granché dotato. Almeno nei rapporti pubblici e professionali.
Le tue canzoni sono universali, nel senso che non presentano apparenti
legami con tempi e situazioni: potrebbero essere state scritte trent'anni
fa o potrebbero esserlo fra trenta.
- Sì, me ne sono accorto, ma non è dovuto ad una mia
scelta: anche nella musica cerco emozioni solo in cose vecchie, classiche.
Una band a cui attitudinalmente vorrei somigliare, anche se non faccio
nulla per ottenere questo scopo, è l'Equipe 84: quando avevo otto
o dieci anni mi colpiva enormemente, e le suggestioni che si avvertono
a quell'età ti rimangono addosso per tutta la vita. Io cerco di
rincorrere quel genere di sensazioni e coltivare quella capacità
di entusiasmarsi che è tipica dei bambini.
Sei mai stato tentato di scrivere liriche più particolari,
legate a situazioni specifiche e identificabili?
- Penso che i miei testi abbiano un taglio cinematografico: hanno la
pretesa di essere immaignati anche dal punto di vista visivo, come la sceneggiatura
di un film. Più che l'aspetto letterario mi interessa quello cinematografico.
Una canzone può derivare dagli spunti più diversi, anche
se strani... ti ricordi quel brano dei Beatles, "She came in through
the bathroom window", il cui titolo significa
"Lei entra dalla finestra del bagno"? Beh, "Specchio delle
mie brame" è nato dalla fantasia assurda di un super-eroe della
Marvel che irrompe all'improvviso in casa mia da una finestra. L'idea di
"Piccola ladra" viene dal film "Il monello" di Charlie Chaplin,
dove c'è questa foto di una bambina con gli occhi già furbi,
maliziosi. Poi ci sono tre o quattro episodi ispirati da una ragazza con
cui, nei '90, ho vissuto una storia d'amore molto speciale.
Ti sembra di comporre sempre nello stesso modo?
- No, con il tempo ho cambiato un po' stile. Credo di essermi anche
affinato, usando metodi artigianali: esercitandomi e non ritenedomi mai
soddisfatto della prima cosa che mi viene fuori.
I Diaframma hanno vent'anni. Che farai, diciamo, nel 2010?
- Non guardo così avanti: penso al disco che sta per uscire,
al tour di supporto che ne seguirà. Poi si vedrà, come sempre
serenamente, e può darsi che succeda qualcosa di bello.
Di cosa ti occuperesti se decidessi di smettere con la musica?
- Non lo so: finché c'è la voglia di continuare, con
una certa dose di incoscienza "punk", mi rifiuto di pensarci. Un tempo
mi vedevo professore di italiano, ma ora... boh! Non è casuale che
la mia "Come sarò tra vent'anni", contenuta ne "Il
ritorno dei desideri", non abbia parole.
Come, in quest'ultimo disco, "Il ritorno di Tom Verlaine".
- Vorrei davvero che Tom Verlaine tornasse presto a fare grande musica:
lui è uno dei miei preferiti di sempre e il pezzo va letto come
un augurio, nonché come una specie di tatuaggio indelebile che mi
sono voluto fare mettendo il suo nome in una canzone.
Pochi musicisti dichiarano così esplicitamente la loro ammirazione
per un collega.
- È giusto, a volte, mettere nome e cognome di qualcosa che mi piace
per davvero. L'ho fatto tanti anni fa con Marisa Allasio (il brano omonimo
è su "Tre volte lacrime", N.d.I.) e l'ho rifatto ora con
Tom Verlaine. L'idea me l'ha data un altro artista che apprezzo molto,
Mike Scott dei Waterboys: lui ha intitolato un brano "The return of
Jimi Hendrix", e poiché Verlaine sta ai '70 come Hendrix ai
'60 si può dire che ho voluto aggiornare il messaggio.
La tua popolarità di culto ha una cartina al tornasole nella
presenza in Internet di una vasta schiera di fans. Segui ciò che
ti riguarda in rete?
- No, non sono attrezzato per farlo. Però ho visitato il sito
che mi è stato dedicato e mi sono divertito, l'ho trovato interessante.
Come mai non ti sei equipaggiato?
- Potrei risponderti "perché va di moda", ma non sarebbe vero;
in realtà si tratta di un mezzo utilissimo, specie per quanto riguarda
la posta elettronica, ma non è poi così indispensabile: se
vuoi comunicare con qualcuno puoi sempre farlo senza bisogno dell'e-mail.
La lettera, ad esempio, ha il suo rituale, e in giorni come questi dove
tutto si consuma in fretta il rito di prepararne una con cura, imbucarla
e attendere la replica può essere importante e anche indicativo
della qualità del rapporto tra chi corrisponde. Di recente ho scritto
una lunga lettera a Gianni Maroccolo, e lui mi ha risposto usando lo stesso
mezzo e con pari attenzione. Mi è sembrato molto bello.
Come mai hai scritto a Gianni?
- Mi aveva chiesto una collaborazione a livello di testi per un suo
prossimo disco solista. Ho preferito rifiutare l'offerta, ma ci tenevo
a motivare la mia decisione anche con una serie di riflessioni su ciò
che siamo stati negli anni '80 e '90.
Ecco una perfetta domanda conclusiva: cosa è rimasto, secodo
te, della stagione del rock fiorentino?
- Innanzitutto, e non mi sembra poco, siamo rimasti noi: fisicamente
e come operatori del settore musicale. È stata una scuola di vita molto
importante, con valori e amicizie vere che sono rimasti tali anche se magari
non ci si vede spesso come una volta. Inoltre, è rimasto un mucchietto
di dischi di rilievo, che hanno detto qualcosa di diverso. E la nostra
voglia di continuare, ciascuno a suo modo a dirlo.