Intervista tratta da FARE MUSICA N.203 di Paolo Bertoni


"La voglia di sempre"


C'era un disco, e ancora c'è, che s'intitola "Boxe". Quell'album era il terzo dei Diaframma. Benché fosse il seguito di pietre miliari come "Siberia" e "Tre volte lacrime", usciva come autoproduzione. Firmato Diaframma Records


Quella sigla la ritroviamo oggi sia pur accostata a Self, che distribuisce, per la nuova, eccellente, prova di Federico Fiumani, "Scenari immaginari", una raccolta generosa e appassionante che mi rammenta "Il ritorno dei desideri". Che in diversi gli debbano apertamente parecchio tra i giovanotti italici che riempiono le pagine di quasi tutte le riviste, compresa la nostra, che s'occupano di musica (e/o costume), è evidente, spesso al primo ascolto, bravi coloro che lo ammettono. Brizzi l'ha celebrato nel momento più drammatico del suo Jack Frusciante rimembrando un verso di "Libra", un comprensibile tributo alla somma poesia di Federico, agli inizi icona, voce del malessere primi anni ottanta che anche in Italia aveva le sue vittime - contrariamente al falso storico che vorrebbe l'effimero stolida filosofia universale di quel decennio - poi coerentemente a seguire quel filo esistenziale che cambia i dintorni ma resta nobilmente teso sul diritto dell'individuo di non dichiarare resa. Diaframma ancora in pista con la rabbia, la convinzione di sempre, la palese voglia di divertirsi, un desiderio di comunicazione intanto ma istintivamente pudico, undici canzoni che sfidano - anche con la forza e la fierezza dell'indipendenza - la ipervisibilità di gruppi di novizi spinti da budget impensabili, da chi appartiene alle origini di tutto questo ben ordito fermento. Con Federico, tempesta appena spazzata dal vento: "Chi me lo doveva dire, si ricomincia da Diaframma Records, dopo dieci anni esatti. Mi fa piacere pensare alle coincidenze con "Boxe", un disco che mi ha dato la possibilità di capire tante cose (è l'album, tra l'altro, in cui Federico canta per la prima volta, nda). Quando ritorna un passato importante dà sempre stimolo; sono soddisfatto di aver fatto di nuovo un album gestendolo dall'inizio alla fine, con l'aggiunta di interlocutori come Self che credo possano darmi una grossa mano. C'erano stati contatti con alcume indipendenti, ma francamente, memore anche delle esperienze passate, ho preferito restare da solo piuttosto che male accompagnato. "Scenari immaginari" poteva, data la sua vita travagliata, diventare un "lost album", e uscire chissà quando, ma meritava di venir fuori adesso. Sul discorso che oramai in tanti incidono con le major, la mia premessa è questa: le volte che ho guadagnato più soldi è stato quando ho fatto tutto da solo. Ti parlo di assegni, di soldi. Questo è un dato di fatto. Comunque sono favorevole a ciò che accade ora in Italia, se questi gruppi vengono proposti anche se acerbi o c'è una domanda del mercato, o sarà il tempo a decidere la loro sorte. Non c'è niente di scandaloso. Se i Prozac arrivano nelle classifiche vuol dire che c'è un bacino d'utenza tale che lo giustifica; prima questo non c'era, adesso c'è, il resto conta relativamente. Andando sul personale non posso dire come andrebbero le cose se avessi certe opportunità, di sicuro io questo tipo di chance non l'ho mai avuta. Ai tempi della Ricordi per "In perfetta solitudine" loro avevano Marco Masini e uscimmo in contemporanea, Masini arrivò a Sanremo e Ricordi ragionava solo nei termini di "o Sanremo o niente". Nel '90 era troppo presto, non credevano potesse esistere un pubblico per il rock." Due anni e mezzo da "Sesso e violenza", ma impiegati e messi a frutto egregiamente: "Volevo fermarmi un attimo, aspettare il momento giusto. È stato un periodo in cui sono stato molto bene, perchè con un manager leccese ho avuto modo di suonare tantissimo al Sud, dove mancavo da dodici, tredici anni, una vita. I ragazzi che venivano ai concerti avevano sentito parecchio le canzoni ma non mi avevano mai visto dal vivo, era una novità; non c'era quindi nessuna urgenza di pubblicare il disco nuovo, "Scenari immaginari" l'ho registrato nel '97, perchè in questi quindici anni penso di aver scritto delle buone canzoni, così ne ho prese sedici e le ho portate in giro come un greatest hits vivente. Con quattro o cinque concerti al mese, con quello che ho fatto, vivevo di rendita, assolutamente sereno, con grande divertimento. Poi però è venuto il momento che ha reso necessario pubblicare l'album per risuonare a Roma, Firenze, Napoli." Introspezione doverosamente esasperata, ma anche divorante vitalità; scovare le dosi impossibile. Eppure "Scenari immaginari" ha altra musa: "Il sentimento che anima il tutto è la consapevolezza che la vita è anche e soprattutto noia; ci si annoia, lo sento molto. Il manifesto programmatico per me potrebbe essere la premessa che fa Baudelaire ne "I fiori del male" in cui dice rivolgendosi al lettore che potrà pensare qualunque cosa ma in realtà ciò che ha ispirato le sue poesie è la noia."
Citavo poc'anzi "Il ritorno dei desideri"; in quell'album una canzone "Underground", che esplicitava una certa insofferenza all'appartenere ad una realtà per definizione sommersa, e l'aspirazione a tuffarsi in lice: "Vedi, stiamo parlando da due ore e tutto ciò di cui abbiamo parlato appartiene al mondo underground... è un bel mondo, ci sono persone e situazioni molto più interessanti e meritevoli d'attenzione di quelle dell'asettico mondo trafficoso che conosciamo. Si vive anche di queste soddisfazioni..." Il legame con il passato rimane dunque limpidamente vivo; pubblicazioni come "Albori", l'ultima di una serie di finestre sul passato quanto mai gratificanti per i seguaci di Diaframma, e di fatto d'una epoca intera. Diaframma delle origini, s'era ragazzi: "Mi accorgo di quanto era diverso il modo di approcciarsi alla musica rispetto ad ora, di quanto perdessimo dei mesi interi lavorando su un giro, con metodologie di lavoro completamente diverse, eravamo un gruppo e se c'era qualcosa che non andava c'era una discussione di un'ora. In "Albori" c'è il risultato di quattro persone; io scrivevo i pezzi, ma Nicola (Vannini) e Gianni e Leandro (Cicchi) incidevano allo stesso modo. Andavano via tanto tempo, enormi energie e quello che veniva fuori sfuggiva anche al nostro controllo. Roba pesante, carica, giri ripetuti... quattro persone insieme non sempre esplodono, spesso implodono, si annullano, lasciando buchi, silenzi. Ciò che facevamo era il frutto di questi scontri, nessuna personalità prevaleva, tranne talvolta, guarda caso, quella di chi faceva i pezzi... la cupezza, il dark erano il risultato anche di certe cose inespresse invece emerse in maniera più solare quando ho cominciato a fare quasi tutto da solo. Noi eravamo tre studentelli che andavano alla rockoteca Brighton, dove c'era Nicola che la gestiva e faceva anche il Dj, dove gli chiedemmo se voleva diventare il nostro cantante. Nicola, un grande, mi ha introdotto nei salotti fiorentini, era un mondano, uno dei belli della Firenze rock, orde di ragazzine intorno alla consolle, quando metteva i dischi. Quando accettò di entrare nel gruppo per noi si aprirono le porte della mondanità; mi presentava persone di cui mi chiedevo "ma che gente è questa?", conosceva benissimo tutti. Nicola all'epoca era un viveur e ha contribuito a farci conoscere all'intellighenzia rock fiorentina; senza di lui non credo ne saremmo stati capaci, il fatto che lui fosse il nostro cantante ci portò grande attenzione. A lui piacevano Joy Division e imitava Ian Curtis che aveva visto in video; era una cosa nuova in Italia. C'era tra noi quattro una grande stima reciproca e una bella sintonia, un bisogno di essere amati veramente enorme, con la voglia di stare insieme che a vent'anni ti dà una forza notevolissima. Ricordo tutto con un po' di nostalgia, nella consapevolezza che non si potrà mai più ripetere; sono un grande nostalgico, i ricordi mi danno spesso più del presente, contano parecchio. Ora suonare è un'esperienza che vivo in maniera assolutamente individuale. Senti tutto sulle tue spalle, sulla scena sei solo, terribilmente solo."